Corriere della Sera
9 dicembre 2015
Dario di Vico

 

Il premier Matteo Renzi ha parlato addirittura di un «moloch» del risparmio privato e il Censis ha documentato il carattere prettamente difensivo delle scelte di 10 milioni di italiani che riescono ad accantonare soldi. Ma nel rapporto tra le famiglie italiane e il risparmio c’è una discontinuità profonda con la quale toccherà fare i conti e riguarda il mattone. Conviene dirlo con le parole di Luca Dondi, managing director di Nomisma: «Il nuovo contesto del mercato immobiliare deve portare a un’ampia riflessione sulla presunta capacità difensiva dell’investimento in immobili». 

In soldoni se in passato comprare la seconda o terza casa era parso alla maggioranza degli italiani il modo migliore per valorizzare i risparmi non è più così. Perché molte di quelle abitazioni rischiano di non essere liquidabili, di diventare un monumento del risparmio incagliato.  

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«L’immobiliare in passato è stato il bancomat di immobiliaristi e costruttori — dice Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti — ora non è più così e bisogna imparare a far fronte a una domanda selettiva. Il mercato si segmenterà, giovani che cercheranno case con metrature contenute per la loro prima casa o pensionati che avranno altre esigenze. Sperimenteremo anche forme di sharing». 

In contemporanea però bisognerà fare i conti con l’invecchiamento del patrimonio esistente: le stime dicono che 3/4 degli edifici (8 milioni), quelli costruiti tra il ‘45 e il 1980, sono a fine vita ed è un problema non da poco. (...)

 

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