la Repubblica
30 maggio 2016
Eyal Weizman

 

Forensic Architecture è il nome di un’agenzia di ricerche che ho inaugurato nel 2010 con un gruppo di colleghi architetti, registi, giornalisti investigativi, scienziati e avvocati. Portiamo avanti indagini indipendenti facendoci largo tra i segreti e le ammissioni negate della violenza di Stato nel contesto di un conflitto armato. (...) Come architetto israeliano, tuttavia, il mio lavoro nel campo dell’architettura forense si è sviluppato nel lungo periodo di attivismo in Palestina. Molti dicono che la Palestina sia un laboratorio dei meccanismi di controllo e che gli israeliani esportino queste tecniche in tutto il mondo. Ma è stato anche un laboratorio di resistenza e di attivismo. Inoltre, il conflitto palestinese ha sempre avuto una specificità architettonica che coinvolge sia la costruzione che la distruzione. Essa si articola, da una parte, nella progettazione di insediamenti ebraici che lacerano, avvolgono e isolano le comunità palestinesi privandole degli spazi aperti, dei paesaggi e delle risorse idriche. Gli architetti e i progettisti sono sempre stati coinvolti in questa violenza, in questa violazione dei diritti umani e del diritto internazionale. È sul tavolo da disegno che i loro crimini sono stati commessi con i semplici gesti dell’architettura: tracciando delle linee sulla carta. La violenza concepita nel disegno è stata poi trasferita sul terreno.

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L’architettura può offrire un metodo per comporre e assemblare i diversi elementi multimediali che si raccolgono. Ci riferiamo alla ricostruzione di un rapporto dinamico spazio-tempo tra queste immagini come al complesso dell’immagine architettonica. 

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