Corriere della Sera 
13 maggio 2016
Giangiacomo Schiavi

 

Renzo Piano, ma quello di Sesto San Giovanni, nelle aree Falck, non era il suo progetto?

«Fino a qualche mese fa lo era».

Vuol dire che non sa niente del megadistretto commerciale e del parco divertimenti a fianco della Citta della salute, del passaggio agli arabi?

«No, non conosco quel progetto».

Ma non doveva essere lei il garante di un grande intervento legato alla sostenibilità ambientale e all’idea di città metropolitana che è il futuro di Milano?

«Garante è una parola grossa. Io mi batto per eliminare la voce periferia e sottrarre certi luoghi pieni di storia e di vita a un destino sbagliato. Non sono certamente il garante di uno shopping center con un parco divertimenti. Tutto è legittimo, per carità. Anche farsi da parte».

Lei si è fatto da parte?

«Non ho più la matita in mano».

(...)

Dietro il suo nome oggi si va da un’altra parte.

«Si andrà senza di me. Firmerò soltanto il Piano Integrato d’Intervento. Sesto poteva essere un progetto pilota, per l’Italia e l’Europa. I megacentri commerciali sono esattamente l’opposto della mia idea di urbanità».

(...)

Anche all’estero la pensano così?

«All’estero mi danno la matita in mano e mi lasciano disegnare. Dalla Columbia University al nuovo palazzo di Giustizia di Batignolles, nella banlieu parigina. Ma anche in Italia è cominciato il rammendo: con noi è nata anche la figura dell’architetto condotto».

Come vede Milano oggi?

«È una città che cerca il suo futuro e può trovarlo nel rammendo urbano che chiuderà l’era delle periferie. L’anello verde di cui si parla per gli ex scali ferroviari è una buona idea, ed è figlio dei 90 mila alberi che avevamo progettato con Claudio Abbado».

(...)

 

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