Corriere del Veneto - Venezia
26 aprile 2016
Fabio Bozzato

 

La carta da parati della Wiener Werkstätte, con i suoi pattern grafici di un colore tenue, ricrea in ogni sala le atmosfere d’interni di primo Novecento, il fervore di un incontro inedito tra design, industria e architettura. Il «Boudoir d’une grande vedette», la sala progettata da Josef Hoffmann per il padiglione austriaco dell’Esposizione universale parigina del 1937, con pareti e pavimento a specchi, tappeti e lampade chic, sfoggia una gioia di vivere come antidoto al mortifero che stava divorando l’Europa.

Sono questi tre decenni che scorrono a Venezia ne «Le stanze del vetro», il programma di mostre e studi sull’arte vetraia promosso dalla Fondazione Giorgio Cini assieme alla Pentagram Stiftung. «Il vetro degli architetti. Vienna 1900 - 1937» mette in mostra (fino al 31 luglio) oltre 300 opere scelte da Rainald Franz dalla collezione del MAK, il Museo di arti applicate di Vienna. Un omaggio al modernismo viennese che segnerà per sempre la storia del design e che porta le firme di Josef Hoffmann, Koloman Moser, Joseph Maria Olbrich, Leopold Bauer, Otto Prutscher, Oskar Strnad, Oswald Haerdtl e Adolf Loos.

È il vetro che affascina questa generazione di giovani architetti, allievi di Otto Wagner, come materiale su cui sperimentare nuovi linguaggi e modellare il gusto di massa attraverso la serialità industriale. Per far questo entrano direttamente nelle fornaci, lavorano coi maestri, ne apprendono saperi e virtuosismo, a cominciare dalle vetrerie tradizionali di Boemia. Connettono registri accademici e respiro d’arte con le comunità di produttori, dall’originale «bottega» della Wiener Werkstätte alle associazioni di artigiani, le Werkbund.

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