Corriere della Sera 
12 novembre 2015
Vittorio Gregotti

 

Ho ricevuto in questi giorni un bel libro (Klaus Theo Brenner, Urban Space / Stadt Raum / Spazio Urbano, Ernst Wasmuth Verlag, pp. 144, e 50, fotografie di René Wildgrube) che raccoglie in maniera elegante un’esperienza interessante compiuta da un gruppo di allievi della scuola di architettura di Potsdam sotto la guida di Klaus Teo Brenner (1950) e della professoressa Annegret Burg, sulla consistenza della città di Milano, a partire dal tema di un progetto per Porta Romana. 

Il libro ha un’introduzione che muove dall’ipotesi (assai realistica) che la disgregazione del disegno urbano europeo in atto sia una falsificazione dei principi del Moderno attraverso la quale «il delirio avanguardista si è messo in direzione diametralmente opposta rispetto alla storia della propria cultura» ed è divenuto invece adesione ad un globalismo mercantile del denaro, opposto all’internazionalismo critico proposto dal Movimento Moderno ed alle discussioni degli anni Cinquanta intorno ai temi della storia e del contesto. 

Il testo introduttivo propone la divisione in due categorie degli architetti: lepri e ricci. I primi, cioè, girano tutto il mondo a servizio dell’immagine del capitalismo finanziario, i secondi cercano invece una connessione dialettica con la storia dei luoghi specifici, senza che questo diventi la copia stilistica dei post-modernisti e cercando di evitare anche l’antiurbano eco tecnologico.

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