Il Sole 24Ore 
21 giugno 2015
Gabriele Neri

 

«Il fatto che percepiamo (e quindi concepiamo) l’ambiente costruito tramite l’intero nostro corpo (e non semplicemente i nostri sensi o il nostro cervello) può sembrare una cosa del tutto ovvia, ma per formazione gli architetti tendono a pensare agli edifici come a oggetti astratti». È questa una delle considerazioni alla base del libro di Harry Francis Mallgrave, intitolato L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, dedicato a che cosa accade dentro di noi quando guardiamo, percorriamo, viviamo un edificio, un’opera d’arte o un oggetto di design.

Mallgrave, docente all’Illinois Institute of Technology, spiega come grazie alle più recenti tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale – ad esempio la risonanza magnetica funzionale – sia possibile mappare le aree coinvolte nel processo percettivo visivo, ricavando informazioni interessanti sulla nostra reazione all’architettura. Prima che da un punto di vista razionale, facciamo infatti esperienza di un edificio emotivamente, attraverso risposte fisiologiche immediate e inconsce. Secondo alcuni studi, la vista di un edificio innesca i ricettori degli oppioidi (le endorfine prodotte dal corpo) nel cervello, producendo un diverso grado di piacere a seconda della sua gradevolezza: piacere massimo davanti a una fila di case pittoresche, minimo di fronte a un edificio per uffici in acciaio e vetro.

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