Corriere della Sera
15 giugno 2015
Giangiacomo Schiavi

 

C’è una strana metafora del viaggio: si torna sempre a dove si è partiti. Giancarlo Iliprandi a novant’anni è come se volesse piantare un picchetto al campo base del design, alla Milano delle avanguardie, all’essenza della comunicazione visiva che si inventa e reinventa coi linguaggi del tempo. Ce n’eravamo dimenticati. Avevamo perso la memoria di quel che è stata, per una generazione di grafici, designer e architetti, la Milano degli anni Sessanta, che cosa hanno lasciato Albe Steiner, Bruno Munari, Massimo Vignelli, Franco Grignani, Pino Tovaglia, Max Huber, Bob Noorda e tanti altri che hanno disegnato (e insegnato) il mondo in essere, anzi, in divenire. 

Iliprandi, detto Illi, è uno di loro, un magnifico guastatore di luoghi comuni diventato designer, professore, pittore, progettista, che ha usato i mezzi più disparati avendo ben capito che «il mezzo è il messaggio». Senza crederci troppo, giocandoci anche, mettendo insieme avventura e responsabilità, intransigenza nei dettagli e qualità assoluta nello stile e nelle forme.

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