Corriere della Sera 
6 giugno 2015
Luca Molinari

 

Un raggio di luce naturale sfiora la base di un altare, sembra uno scherzo perché siamo a più di una decina di metri sotto terra. Ad Hal Saflieni, un santuario neolitico costruito tra 3.600 e 2.400 anni fa a Malta, una volta all’anno il legame tra cielo e terra è santificato dall’arrivo di una impalpabile lama bianca grazie a un calcolo che potrebbe mettere in difficoltà più di uno specialista contemporaneo. 

Il ricorso all’architettura ipogea, ovvero alla realizzazione di costruzioni abitabili nel sottosuolo, ha una lunga tradizione nella storia dell’umanità. Abbiamo esempi di grande qualità tecnica e architettonica in India, Etiopia, Cina, Yucatan e nella maggior parte dei casi si tratta di luoghi sacri in cui la relazione con le profondità terrestri era enfatizzata dalla potenza fisica di questi luoghi. 

Poi abbiamo esempi di vere città sotterranee, partendo dalla «nostra» Matera fino al clamoroso caso di Derinkuyu, un insediamento realizzato nel sud della Turchia che raggiunge la profondità di 70 metri su otto livelli per una popolazione di almeno 20.000 abitanti. In questo insediamento, il cui nome significa «pozzo profondo», l’aria fresca e la luce naturale erano convogliate ovunque attraverso una conoscenza molto sofisticata della pietra locale e dei flussi d’aria. 

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