la Repubblica - Napoli
11 aprile 2015
Stella Cervasio

 

 

«Per me l’Italia non è Milano, è Napoli. Da studente me la sono girata tutta». E chissà che il centro storico di Napoli non abbia avuto la sua parte nello sviluppo del “decostruttivismo” di Daniel Libeskind, archistar ebreo polacco naturalizzato newyorchese, invitato dalla facoltà di Architettura della Federico II e dall’Ordine degli architetti. L’autore di pietre miliari dell’ultima corrente che si ritiene contrapposta al postmodernismo, ha tenuto una lectio magistralis sul suo ultimo libro, “La linea del fuoco” (Quodlibet). L’ansia di far convivere passato e futuro, con gli imponenti cunei in alluminio estruso drammaticamente fatti piombare da Libeskind nel bel mezzo di molte sue opere, gli ha fruttato osanna ma anche critiche. Come quella di aver tradito la “recherche patiente” predicata da Le Corbusier, l’evoluzione senza fretta della ricerca architettonica, che in questi tempi ha lasciato il posto a innovazioni diventati stilemi ripetitivi, ormai privati della motivazione forte. Ma Libeskind è stato accolto con un grande abbraccio da Napoli. Della quale ha detto: «È una città che ha avuto un grande impatto sulla mia comprensione del mondo. Ci hanno lavorato nel tempo tanti architetti importanti. È bellissima, ma avrebbe bisogno di cose nuove». Per esempio? «Nuove residenze a un costo che la gente possa permettersi. Abbiamo bisogno di architetti ambiziosi, che progettino anche quartieri popolari, ma che siano belli, con una qualità di vita alta e con molto verde». Il punto è sempre la convivenza di vecchio e nuovo. «C’è tanto spazio e la parte antica non va toccata. Sarebbe una grande occasione quella di creare nuovi quartieri con nuove idee». Attenzione, però: «Bisogna evitare di trasformare le periferie in sobborghi». 

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