Il Sole 24Ore 
18 giugno 2017
Paolo Feltrin

 

Il Jobs act del lavoro autonomo contiene, come spesso capita in provvedimenti di questo tipo, tali e tanti interventi di riforma, da rendere complicato il giudizio. Per molti versi non si può non applaudire all’ampliamento delle tutele del lavoro professionale non ordinistico.

Si tratta di misure attese da anni, richieste tanto dagli Ordini quanto dalle associazioni non ordinistiche, e sulle quali il legislatore aveva finora evitato di intervenire in modo sistematico. 

Fin qui tutto bene. Tuttavia se si vuole essere franchi fino in fondo vi sono almeno tre questioni sulle quali vanno accesi i riflettori nel prossimo futuro, in parte perché dipendono dalle modalità di attuazione delle deleghe previste dalla legge appena entrata in vigore, in parte perché non è ancora chiara la direzione di marcia che si intende seguire come paese a proposito del mondo delle professioni. Tutte e tre queste questioni hanno a che fare inoltre con il rapporto tra regolazione legislativa e organizzazioni di rappresentanza dei professionisti.

In primo luogo, una delle prossime deleghe dovrà regolamentare la possibile devoluzione agli Ordini e ai Collegi dello svolgimento di atti pubblici. Si tratta, nei fatti, dell'allargamento di esperienze che hanno dato già buoni frutti in passato con l'affidamento alle associazioni di rappresentanza degli interessi di attività che avrebbero dovuto svolgere i pubblici uffici: si pensi ai compiti pubblici assolti dalle organizzazioni agricole, artigiane e dei commercianti, oppure ai patronati e ai centri di assistenza fiscale (caf) nel caso dei sindacati. 

(...)

 

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