Corriere del Mezzogiorno 
10 maggio 2017
Antonio Fiore

 

Altri sapranno ricordare meglio di me il visionario architetto capace di innestare la creatività partenopea sul terreno della cultura partenopea, di coniugare Loos e le pietre del Mediterraneo. Nicola Pagliara è scomparso ieri a 83 anni, all’ospedale Fatebenefratelli, dove era ricoverato da una settimana per una caduta. (...)

Chi scrive vuole invece sommessamente evocare l’ulisside della conoscenza senza il quale il Pagliara architetto, il Pagliara professore, il Pagliara scrittore non si spiegherebbero: intellettuale totale, Nicola resta una figura decisiva per la capacità di sprovincializzare la cultura (non solo) cittadina, la voglia di forzare le colonne d’Ercole degli specialismi, e insieme interrogarsi radicalmente sull’operare umano. Sfogliare le sue Architects Memories (presentate l’anno scorso in quell’Aula Magna della Federico II da lui stesso ristrutturata tempo prima) è come ascoltarlo ancora, come assistere ancora a una sua lezione: dal giovane architetto «non predestinato» ma già in giacca di velluto per fare colpo sulle ragazze al vecchio ragazzo con la barba bianca e gli occhi troppo vispi per essere già divenuto un saggio vegliardo, lì c’è tutto il Pagliara che abbiamo imparato ad amare, il maestro enciclopedico che però non rinuncia a essere amico e complice. (...)

 

«Era il migliore dei magnifici sette» di Stefano de Stefano

«Eravamo compagni di corso e mi aveva sempre colpito la sua curiosità intellettuale. Nicola Pagliara era un uomo di grandissima cultura, una cultura che lo aveva presto segnalato come una delle punte più avanzate e originali della ricerca svolta nella Facoltà di Architettura di Napoli». A ricordare l’amico e collega è Aldo Loris Rossi che evidenzia l’autonomia del percorso di Pagliara. «Amante sin da giovane della Vienna secessionista, aveva rielaborato in chiave personale gli stilemi liberty, ponendosi così fuori dal razionalismo imperante e declinando il suo linguaggio in modo “antiscatolare” e sempre attento all’uso dei materiali». (...)

 

Credeva fino allo spasimo in quello che faceva di Massimo Pica Ciamarra

 

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