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Vele di Scampia la nostra Cinecittà

 

Un epilogo ingeneroso che le Vele non meritavano, una storia urbanistica non edificante

Testata:
la Repubblica
 
Data:
22-05-2008
 
Autore:
Pasquale Belfiore
 
 
"Gomorra" ha consacrato le Vele di Scampia come location reale del Male assoluto. Garrone e Saviano devono, però, ringraziare i notevoli ritardi che accusa il programma di demolizione del quartiere, perché se i tempi fossero stati rispettati, addio all'esaltante (cinematograficamente, beninteso) contrappunto tra la terribilità delle azioni sceniche e il degrado quasi romanticamente ruskiniano degli spazi architettonici. Un epilogo ingeneroso che le Vele non meritavano, una storia urbanistica non edificante. (...)
Alla fine degli anni Ottanta, le Vele erano già un caso politico-sociologico nazionale al punto da richiamare un papa, Giovanni Paolo II nel 1990, e due presidenti della Repubblica, Cossiga e Ciampi, in visite dedicate. Risultati deludenti. Ci provò l'Università, che qualcuno ritenne assimilabile a un ente per la redenzione sociale. A dieci anni dalla singolare idea, ancora nulla di concreto. Ci riprovò la Protezione civile che affidò a Vittorio Gregotti il restauro d'una Vela per destinarla a Centro del sistema nazionale. Costa troppo recuperarla, non conviene, rispose l'architetto milanese, che progettò ex novo il Centro dandogli sembianze di un piccolo Colosseo. L'ipotesi Protezione civile fu accantonata e lo stesso edificio a pianta circolare divenne d'incanto sede del corso di laurea in Scienze della nutrizione umana della Facoltà di Medicina, a conferma di una perdurante vocazione samaritana dell'ateneo federiciano. Non è mancata nel frattempo una vasta e qualificata letteratura d'analisi e denunzia del caso Vele. Segnalo solo il report del 2002 di Giovanni Laino e Daniela Di Leo e il saggio di Isaia Sales Le strade della violenza del 2006. Scampia è fallita, spiega tra l'altro Sales, perché in quel quartiere non v'è stata né rappresentanza né integrazione di più ceti sociali, ma il predominio d'uno solo. Diagnosi condivisibile, che tiene a debita distanza le colpe dell'architettura e dell'urbanistica, che pur vi sono, ma minori e su altri piani.

 
 
 
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