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Università, valore legale laurea, Architetti, lettera aperta del Consiglio Nazionale a Mario Monti

 

Caro Presidente,
il Governo e il Parlamento hanno avviato con Leggi e Decreti la riforma delle professioni con il fine di garantire un accesso basato esclusivamente sul merito, pari opportunità per tutti e un miglioramento della qualità della prestazioni professionali.
I fini sono totalmente condivisibili e sono realizzabili solo se si instaura un percorso virtuoso che dagli studi universitari, attraverso il tirocinio e poi  l'Esame di Stato, porta a maturazione un professionista preparato culturalmente e attrezzato tecnicamente.
Per questo credo che il tema del valore legale del titolo di studio sia stato mal posto, come se l'aspetto burocratico del problema - il famoso "pezzo di carta" -  fosse più importante della sostanza.
Alla domanda se è giusto che voti di laurea presi in Facoltà differenti e di diversa qualità e difficoltà debbano valere uguali nei concorsi pubblici, la risposta è lapalissiana: no.
Ma le soluzioni proposte sono errate e influenzate dalla passione per modelli anglosassoni che hanno storia e realtà diverse dalle nostre, come da quelle della maggior parte dei Paesi europei. Modelli fondati sulle public school, il mecenatismo e borse di studio che garantiscono gli studenti più poveri (seppur le dinastie familiari nelle grandi scuole sono un fatto oltre che un ottimo soggetto letterario).
Proviamo allora a procedere con raziocinio  guardando alla condizione reale del Paese e al contesto giuridico e culturale, ponendoci alcune domande di premessa che sono state evase fino ad ora.
La prima: le 21 (!) Facoltà di Architettura italiane - parlo della mia disciplina - sono tutte ugualmente capaci di laureare un architetto bravo? No, anche se ce ne sono di davvero eccellenti.
Da cosa dipende? Dalla capacità delle persone che le dirigono, insegnano e ci lavorano, in un sistema che sappiamo problematico per regole e risorse.
Data la situazione, cosa dovrebbe fare lo Stato per garantire a tutti gli studenti in tutto il territorio nazionale di formarsi in Università adeguate per qualità dell'insegnamento e capacità organizzativa?
Intervenire per raddrizzare le situazioni storte, senza abdicare al proprio ruolo, né immaginando che la concorrenza tra Atenei e l'abolizione di "pezzo di carta" possa risolvere il problema. Perché è compito dello Stato garantire che le proprie istituzioni scolastiche siano di qualità e forniscano a tutti i giovani italiani un titolo equipollente, indipendentemente dal luogo dove vivono e dalle risorse economiche che hanno.
Non so il grande Einaudi, ma io ho sempre pensato che per cambiare lo stato delle cose bisogna intervenire sul principio (la qualità degli insegnamenti) e non sulla fine (il valore della laurea).
Se poi vogliamo cambiare le regole dei concorsi pubblici per essere certi che si premi il merito più delle premesse legali possiamo essere d'accordo e i correttivi sono facili: ma buttando via bambino e acqua sporca faremmo un pessimo servizio al Paese e ai giovani, abdicando ai doveri dello Stato e cacciando, di fatto, la testa nella sabbia, nascondendoci il dramma che le nostre istituzioni culturale più alte, che l'Italia ha inventato 1000 anni fa (Bologna, 1088),  non sono più all'altezza.
Con vera stima
Leopoldo Freyrie
 
P.S. Le lauree in architettura italiane sono riconosciute dall'Unione con un lungo elenco di tutte le Facoltà: dobbiamo avvertirli che ci siamo sbagliati?

 
 
 
 
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